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Ciao Ragazzi!
In this episode, we talk about the pandemic and its new migration.
Many Italians from Northern Italy and from abroad have moved back to their cities or towns in Southern Italy. They call it Southworking: to work online, permanently, from the homeland.
Let’s see if this trend is here to stay or not…



Download the full transcript (PDF) or read it here


Ciao ragazzi, sono Davide e benvenuti sul canale di Learn Italian with Davide, il podcast che vi parla di lingua e cultura italiana a 360°.
In questa puntata parliamo di lavoro a distanza e parliamo delle persone che dopo l’inizio della pandemia sono tornate a lavorare nella propria città, spesso al sud Italia. Proprio per questo, oggi parliamo di southworking.
Allora sigla e diamoci da fare.

Secondo il settimanale inglese Economist nell’ultimo anno, dall’inizio della pandemia, in tutta Europa c’è stata una nuova migrazione di persone. Sono molti i lavoratori e gli studenti che hanno lasciato i paesi più ricchi del continente per tornare a casa, nei loro paesi di origine, dove sono nati. La maggior parte dei cervelli in fuga, in inglese brain drain, le persone immigrate con un’alta formazione tecnica e universitaria. Tutti i cervelli in fuga vengono da paesi dell’est Europa come Polonia, Romania e Bulgaria.

Tutte queste persone lavorano, studiano ora da remoto, cioè attraverso, con un computer. Erano partiti alla ricerca di stipendi e salari più alti che nel loro paese. Ma ora senza una ragione, senza un motivo, per rimanere nel nuovo paese, ovviamente, hanno deciso di ritornare. L’Economist da alcuni numeri. Parla di un milione di rumeni, parla di mezzo milione di bulgari. Sono numeri incredibili per paesi così piccoli. Ma perché sto parlando di Romania e Bulgaria? Vi chiederete: ma non era un podcast sulla società italiana. Purtroppo o per fortuna, questo fenomeno riguarda anche l’Italia. Se i rumeni, infatti, sono il primo popolo migratore in Europa, l’Italia è il secondo.

Ma cerchiamo di fare il punto e torniamo un po’ indietro, torniamo ad una data fondamentale, torniamo all’8 marzo. L’otto marzo 2020, quando la stazione di Milano era piena di viaggiatori un po’ strani. Non erano turisti stranieri con souvenir ovunque, non erano pendolari che iniziano la settimana lavorativa. Per pendolari intendiamo chi va a casa al lavoro, da lavoro a casa, tutti i giorni. In inglese si dice commuter. Erano quindi i primi migranti della pandemia. Come molti italiani ricordano, il Governo aveva imposto, aveva deciso, di vietare lo spostamento, cioè di muoversi, tra le regioni a causa del coronavirus. Dal giorno successivo, dal 9 marzo, le persone non si sarebbero più potute spostare. Nessuno avrebbe più lasciato la propria città. E allora
come pazzi, o possiamo anche dire probabilmente come italiani, tutti hanno preparato le valigie e sono corsi alla stazione centrale, dove tutti i treni erano pieni zeppi, cioè fino al limite, di persone in fuga, che fuggono, scappano, che vogliono salvarsi. Fuggivano verso la propria famiglia, verso la propria città. All’inizio sembravano pazzi e irresponsabili perché potevano trasmettere il covid, il virus, in tutta Italia e tutto il resto della penisola. Sembravano persone che avevano molta paura e agivano d’istinto, non pensavano alle conseguenze.

Ma il problema è che nei mesi successivi molti lavoratori e studenti hanno continuato a lasciare Milano, Bologna, Torino, altre città all’estero, per ritornare nella loro città e, come abbiamo detto prima, spesso queste città erano proprio nel sud Italia. Dopo poche settimane nasce sui social un’associazione che si chiama Southworking: lavorare da remoto dal sud, dal posto dove le persone vogliono vivere davvero, come dicono i loro fondatori. Se volete saperne di più, se volete visitare il loro sito trovate il link in descrizione. Ma torniamo ai nostri viaggiatori, o i nostri migranti, i nuovi migranti hanno lasciato case sfitte, vuote, dove non si paga l’affitto, sono senza affitto e, quindi, sfitte. E città deserte. Infatti, tutti i locali notturni, i bar ed i negozi erano e sono ancora deserti.

Tutta la ristorazione in generale sta perdendo soldi. Secondo una recente statistica, negli ultimi vent’anni Milano ha avuto circa 100.000 nuovi studenti fuorisede, cioè studenti che vengono da posti più lontani, non dalla stessa città, soprattutto dal Sud, di nuovo. La stessa cosa si può dire per i lavoratori. “Ma se devo lavorare o studiare da una camera molto costosa a Milano, perchè non fare lo stesso dalla mia città, con vista sul mare, vicino alla famiglia, vicino ai miei amici?”. Probabilmente questo è quello che hanno pensato in molti. E sotto sotto hanno ragione, probabilmente.

Prendiamo un esempio. Prendiamo l’esempio di Roberto, calabrese che è tornato dopo molti anni a casa.
Dopo un’esperienza di circa tre anni negli Stati Uniti, ho deciso di rientrare in Italia. E attualmente lavoro come manager in una delle più grandi multinazionali operanti nel settore delle telecomunicazioni, sia in Italia che nel mondo. La mia azienda ha la sede principale in Lombardia, per cui vivo lavoro lì. Allo scoppio della pandemia, ovviamente abbiamo iniziato a lavorare tutti in modalità smart, da casa. Quando a Maggio c’è stata la possibilità di spostarsi regioni ho deciso di ritornare in Calabria, a Pizzo, dove appunto ho casa mia e dove c’è la mia famiglia, i nemici più cari. Per cui è stata fin adesso un’esperienza decisamente positiva. Sto lavorando allo stesso modo, se non meglio e mi auguro un futuro dove ognuno di noi potrà lavorare ovunque. Per cui quando vorrò ritornare in ufficio e incontrare i colleghi, che ritengo sia una cosa essenziale, avrò modo di farlo, ma magari lavorerò la maggior parte del tempo da qui, risparmiando un sacco di soldi di afitto, essendo più felice. Penso che lo stesso principio si possa applicare alle persone che vivono un po’ in tutta Italia. Quindi non solo gente che vive al sud e vuole vivere al sud Italia, ma anche al centro, nord, nel paesino dove nato. Per cui penso che questa pandemia abbia portato di buono questa grande innovazione che rivoluzionerà senz’altro il mercato del lavoro.

C’è poi una categoria di persone che ha approfittato della pandemia per trasferirsi al sud. In questo caso non sono persone dipendenti, cioè lavoratori che dipendono da un’azienda, che hanno un contratto con azienda, ma spesso sono liberi professionisti, cioè hanno la loro attività, hanno il loro lavoro autonomo. È questo il caso di Silvia, da Bologna, che racconta la sua esperienza in questa intervista.
Per noi il covid ha accelerato una decisione che era nell’aria da anni, ossia di trasferirci a Sud. Nello specifico andare a vivere in Calabria, a Soverato, che è il paese del mio compagno. Infatti sono anni che noi facciamo sù e giù per l’Italia, essendo entrambi molto liberi di muoverci e di lavorare da ovunque ci troviamo, perché lui è videomaker freelancer ed io ho un’agenzia di viaggi online. Diciamo che dopo la nascita di nostro figlio, in pieno lockdown, e aver vissuto la quarantena in quaranta metri quadri in città, ci ha fatto fare definitivamente il salto. Ci ha fatto prendere la decisione di affittare una casa al mare, Con la stessa cifra che a Bologna spendiamo per un bilocale senza balcone, al Sud possiamo permetterci una casa molto grande, dove avere spazi sostenibili, adatti sia ad una famiglia, sia a due genitori che comunque devono lavorare da casa.

Ma cerchiamo allora di capire che cosa ci dice il Southworking dell’Italia e degli italiani. La prima cosa che dice è sicuramente banale, facile, cioè che siamo attaccati alla famiglia. Amiamo la nostra famiglia, soprattutto nei momenti difficili. Probabilmente questo è anche più facile quando vivi in un bel posto vicino al mare, una montagna e un po’ meno attraente se vivi in un posto un po’ più grigio, un po’ più industriale, come per esempio – spoiler – Alessandria. Continuo a fare pubblicità negativa sulla mia città, ma scherzo. Vi prometto che parleremo anche di cose positive nel futuro su di Alessandria. Ve lo prometto.

Ma torniamo, torniamo a noi. Voglio provare a darvi due esempi di quanto siamo diversi rispetto ad alcuni, soprattutto alla maggior parte di stranieri. Il primo esempio è un mio studente inglese, che vive in Italia da alcuni anni, ma non ha sentito il bisogno, non è voluto, tornare indietro in Inghilterra per lavorare da remoto o di non lavorare e vivere con i suoi genitori. Anche se stavano chiudendo le frontiere, non era più possibile tornare da quel momento in poi. Il secondo esempio, un’altra mia studentessa, è una studentessa tedesca che vive a Barcellona ed è rimasta chiusa in un monolocale, un appartamento con una sola camera, per tutto il lockdown. Non ha mai pensato di tornare in Germania dai suoi genitori e dagli amici, anche se in tutte le lezioni lei mi ricordava quanto le mancassero tutti; quanto le mancasse il suo ragazzo. Ma non ha mai pensato di tornare; ha continuato a vivere e lavorare in un piccolo minuscolo appartamento. Ovviamente questi esempi non sono applicabili a tutti. Ricordiamo sempre questo però mi sembra interessante per vedere la differenza.

Un’altra cosa che ci dice il southworking è che siamo soprattutto figli. Non siamo indipendenti, ma siamo sempre figli che tornano a casa. Infatti, la maggior parte dei nuovi migranti tornano a casa dai genitori, tornano nella casa dove hanno vissuto per molti anni come figli.

Prima di parlare dell’ultimo punto, bevo un attimo, ho bisogno anche io di idratarmi. Ecco. Sono pronto e come dicevo l’ultimo punto, se non è il più importante affascinante, riguarda il turismo permanente. Alcuni giorni fa ho ascoltato un reportage della radio nazionale spagnola che parlava del lavoro da remoto alle Isole Canarie a Malaga. I governi locali delle Canarie e di Malaga investono molto sui lavoratori autonomi e sulle imprese, le aziende, che si spostano, che decidono di trasferirsi o trasferire i loro dipendenti. La sede dell’azienda rimane in una capitale europea, o in Spagna a Madrid, a Barcellona, in altre città, ma i lavoratori vivono alle Canarie e lavorano tranquilli al sole. E questo è quello che abbiamo visto prima. Questo è quello
che sta succedendo adesso in Italia. È la storia di Roberto a Milano ma lavora in Calabria.
Può funzionare per tutti? Secondo Rossella Cappetta, una professoressa di management e tecnologia alla prestigiosa Università Bocconi di Milano, la risposta è no; la risposta è negativa. Come ha dichiarato in un’intervista, secondo lei, il lavoro distanza ci sarà in futuro, come probabilmente pensiamo tutti. Pensiamo tutti che sarà flessibile. Probabilmente le persone lavoreranno da casa per due giorni alla settimana e in azienda, in ufficio, gli altri giorni. Il primo problema, come avete capito probabilmente è fare il pendolare, cioè andare alla propria casa, a lavoro e viceversa. Non è per tutti e avete già capito che se parliamo di Milano-Palermo è un po’ difficile viaggiare per 1000 km due volte alla settimana. Quindi significa che funzionerà per alcuni liberi professionisti per alcuni lavoratori autonomi come Silvia e suo marito, ma non per i lavoratori dipendenti. Dobbiamo ricordare che le aziende non sono solo posti dove lavorare, ma anche comunità sociali dove parliamo e impariamo, a volte ci arrabbiamo con certe persone. Quindi lavorare solo da remoto potrebbe eliminare,
eliminerebbe tutte queste caratteristiche sociali ed i lavoratori si sentirebbero soli ed isolati. Vi parlo della mia esperienza: io lavoro da molto tempo ormai da remoto. Capisco la situazione, amo il mio lavoro mi piace molto insegnare online, lavorare online, ma ho anche io momenti down, momenti molto tristi e isolati. Quindi capisco che non è una cosa per tutti.

Ma la domanda rimane: che cosa succederà dopo la pandemia? Probabilmente la risposta è che chi è dipendente dovrà tornare in ufficio, si trasferirà di nuovo al Nord o all’estero. Potrebbero licenziarsi, lasciare il lavoro, e rimanere per sempre al Sud; altri invece, pochi liberi professionisti o consulenti esterni o autonomi, invece, rimarranno, staranno dove sono ora e lavoreranno da remoto. Però penso anche che potrebbe essere possibile un compromesso, un accordo. I lavoratori dipendenti da remoto possono chiedere uno stipendio inferiore, più basso, per lavorare a distanza, come già succede, come fanno già negli Stati Uniti. Infatti in America ci sono molti lavoratori flessibili della Silicon Valley che oggi vivono negli Stati centrali degli Stati Uniti e lavorano dal loro computer, evitando i costi d’affitto della Silicon Valley. Ovviamente, prendendo uno stipendio più basso.

Ma ora mi chiedo e, soprattutto, vi chiedo cari venti ascoltatori: lavorare da remoto quando l’azienda è in un altro posto, fa bene, è positivo per l’economia locale? È positivo solo per il singolo per la singola persona? Il singolo lavoratore? O forse non lo so, forse è meglio di niente. Capisco bene che non tutti possono lavorare da remoto. Tutti quelli che, come camerieri, chef, operai, ma anche alcuni tipi di ingegneri, impiegati, insegnanti che non possono lavorare da remoto, non potranno mai lavorare da qualunque posto. Potranno, certo, ma dovranno cambiare lavoro. Vorrei veramente sapere che cosa ne pensate, ma ora è meglio che ci fermiamo qui. Ho fatto troppe domande, ma sono veramente curioso di sapere che cosa ne pensate.

Quindi vi ricordo che trovate la trascrizione di questo episodio su patreon/learnitalianwithdavide. C’è una lettura graduata, che è un’intervista alla fondatrice del progetto Southworking, con esercizi, per chi è iscritto al mio Patreon. Se vi è piaciuta la puntata potete lasciare un like e un commento. Vi ricordo di iscrivervi al
canale, di seguirmi su tutte le varie piattaforme. Se volete scrivermi invece una vostra opinione, lasciare un feedback, suggerire nuovi argomenti o avete altre domande, vi ricordo che un gruppo Telegram, come /learnitalianwithdavide. Trovate tutto in descrizione

Prima di finire ho trovato uno slogan, fatemi sapere se vi piace. Probabilmente non lo so. Al massimo lo cambieremo, non lo so, fatemi sapere.

Non è la cultura che fa le persone
Ma le persone che fanno la cultura,
quindi facciamo cultura insieme

come sempre ci sentiamo presto

ci troviamo sempre qui
Sempre su Learn Italian with Davide

Ciao


Sources

https://www.southworking.org/


The Economist – How the pandemic reversed old migration patterns in Europe

https://www.economist.com/europe/2021/01/28/how-the-pandemic-reversed-old-migration-patterns-in-europe


ANSA – La carica dei southworkers

https://www.ansa.it/sito/podcast/ansa_voice_stories/2020/11/05/la-carica-dei-southworkers-il-controesodo-va-da-nord-a-sud_637009e3-bb40-4678-b277-f87fbd8c2e65.html


Business Insider Italia – La docente della Bocconi stronca il southworking

https://it.businessinsider.com/la-docente-della-bocconi-stronca-il-southworking-danneggia-imprese-lavoratori-e-societa-il-sud-non-deve-essere-dormitorio-del-nord/


DISCLAIMER

As you noticed, the name of the podcast has been changed, as the target of the project. There are too many “Learn Italian with…” about tiny details about the Italian language. However, they do not speak about Italian culture, the many focus of the new “Italian stories with Davide”