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Ciao Ragazzi!
We have so many Italian “symbols” that state and certify our Italianness.
Today we talk about one of them, the logo of this project: Spaghetti and pasta.



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Ciao Ragazzi
E benvenuti come sempre su Learn Italian with Davide
Il podcast che vi parla di cultura e lingua italiana a 360 gradi

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Quando stavo preparando questa puntata, non sapevo che cosa fare. Avevo pensato a un personaggio storico importante, a una data particolare. Ma non mi sembrava troppo diverso da quello che volevo raccontare prima e dopo questo episodio
E poi, ho guardato il logo ed è arrivata la visione, l’idea: Lo spaghetto

Maccherone, m’hai provocato e mo’ te’ destrugo, maccherone

Allora oggi si parla di pasta e di spaghetti
Sigla e diamoci da fare


Tutti sappiamo che Marco Polo fu il primo occidentale a visitare la Cina. Ma non tutti sappiamo di un marinaio, chiamato Spaghetti, che rubò, ha rubato, la ricetta dall’oriente. Per caso…

Una donna cinese stava impastando, stava preparando l’impasto, the dough in inglese, per fare il pane, quandò arrivò un marinaio italiano – questo Spaghetti – che era in visita con Marco Polo. Il marinaio le parlò in modo romantico ed iniziarono a fare l’amore. Lei si dimenticò dell’impasto del pane. Alcune foglie caddero da un albero, nel contenitore del pane, dov’era il pane. La donna era preoccupata, perchè la padrona si sarebbe arrabbiata e l’avrebbe licenziata, avrebbe dovuto cercare un altro lavoro. Ma il marinaio Spaghetti aveva un’idea. Il marinaio pensò di fare passare l’impasto attraverso una rete per eliminare le foglie. Rimasero dei fili, in inglese thread. Ma iniziarono di nuovo a fare l’amore e si dimenticarono i fili dell’impasto al sole. Alla fine la donna non sapeva che cosa fare dei fili secchi, senza acqua, disidratati. In inglese dried. Non si poteva più fare il pane. La donna diede, ha dato, i fili dell’impasto al marinaio. Il marinaio portò i fili secchi sulla nave e bollì i fili nell’acqua calda. Era ancora buona. Poi il marinaio raccontò la storia a Marco Polo, che decise di portare a Venezia questa nuovo prodotto. Quando tornò lo preparò e fu un successo incredibile.
Da allora la pasta fu il piatto italiano nazionale.

E se vi dicessi che questa storia è falsa? Sì. Tutto quello che vi ho raccontato è una leggenda, un mito. Fu inventata dagli americani nel 1929. Eppure ancora oggi molti pensano che il povero Marco Polo abbia importato l’idea della pasta e degli spaghetti dalla Cina. Ma non è così. Sono solo leggende. La tradizione orientale è diversa da quella occidentale.
Miei cari 20 ascoltatori, voi penserete allora che la pasta sia un’invenzione tutta italiana…
Sono gli italiani, il popolo di Leonardo da Vinci, che ha inventato gli spaghetti. Si e no. Ma andiamo con ordine. Anzi mettiamo ordine…

Sono sicuro che avete già sentito parlare di lasagna, quel tipo di pasta lunga, a strisce, che usiamo, appunto, per fare le lasagne alla bolognese, con il ragù.
Questa puntata sta diventando veramente difficile. Vi giuro che sto morendo di fame. Non vedo l’ora di finire. Probabilmente è per questo che faccio poche lezioni sul cibo italiano. Perché – ammettiamolo – è una tortura parlare di cibo e non poter mangiare
Ho appena iniziato ed è già difficile Ma torniamo alla storia…

La parola lasagna deriva dal greco làganon e dal latino lagana o lasania (più tardi). Era simile alla lasagna odierna, quella di oggi: quindi lunga e tirata. Ma spesso era lievitata, che ha il lievito (in inglese yeast), come il pane. Ecco. Era molto simile al pane, ma stesa, allungata. Si parla di pasta fresca: fatta in casa sul momento e pronta da mangiare. Egizi, greci e poi romani, Quando volevano mangiare la lasagna, la bollivano, cioè la cuocevano nell’acqua ad alta temperatura, cioè che fa le bolle, che bolle.

Ma era molto lungo e costoso fare questa lagana. Se non si bolliva, cioè si cucinava in acqua, subito, andava a male. Non si poteva usare più. Non durava molti giorni. Solo i ricchi potevano mangiare lagana. Così l’antica pasta, la lagana, è rimasta un piatto esclusivo, per pochi, per molti secoli, per molto tempo.

Ma ecco il primo punto di svolta, il turning point. Nel settimo secolo, gli Arabi arrivarono in Sicilia e culture diverse si mescolarono. Gli arabi avevano imparato dai persiani ad essiccare la pasta, cioè la pasta diventava secca, la lasciavano al sole e perdeva acqua. Così potavano conservare, preservare il prodotto anche per due o tre anni.

Palermo diventò così la prima capitale mondiale della pasta. Iniziò la produzione industriale della pasta secca, o pasta asciutta, cioè senza acqua. Da qui la parola moderna ‘pastasciutta’. Nel dodicesimo secolo, i Siciliani diventarono i primi ad avere il nickname di ‘mangia maccheroni’ (mangiapasta). Da Palermo il nuovo prodotto arrivò in altre città sul mare molto importanti, come Napoli, Genova e Cagliari, in Sardenia. In questi posti iniziò una grande tradizione di produzione della pasta che diventerà importantissima nei secoli successivi.

Ma questa produzione rimase isolata, limitata alle grandi città ed ai porti dove arrivava e si commerciava la pasta. Fuori Napoli, per esempio, nel villaggio in campagna, i contadini non sapevano che cosa fosse la pasta. Per loro la pasta era un cibo da re, un cibo per i ricchi.

Nel resto d’Italia, la tradizione era ancora quella della lagana fresca dei romani. Amavano ancora usare la lagana per fare torte salate con carne o pesce. Da questo sono nati i tortelli, famosi oggi in Emilia, Lombardia e Toscana. Ma più si espandeva la cultura della pasta e più si creavano nuove forme di pasta. Nascevano differenze tra regioni: nascevano le tagliatelle e finalmente lo spago, un tipo di pasta sottile, non spesso, come uno spago, cioè una corda usata per fermare pacchi. Lo spago in inglese si dice twine. Da qui nasce la parola ‘spaghetti’. E non si parla di Marco Polo, di marinai, di grandi seduttori, amanti, di donne cinesi.

Passarono alcuni secoli e, a Napoli, ci fu un altro miracolo, anche se tutto iniziò con una tragedia, una disgrazia. Fino al 1600 tutti conoscevano i napoletani con il soprannome di ‘mangiafoglia’, che mangiavano foglie, cioè verdura. Ma nel 1630 il mercato di Napoli diventò povero per le continue carestie. C’è una carestia quando non c’è niente da mangiare. Le persone non hanno da mangiare e muoiono di fame. I napoletani dovevano inventarsi un nuovo modo di mangiare.

Ma come? Fare la pasta era un processo lungo e complicato, soprattutto per sfamare, cioè eliminare la fame, ovvero dare da mangiare, a migliaia di persone. Era lungo, lento e costoso. Ci voleva, avevano bisogno di un’invenzione. Ed arrivò l’invenzione…

Iniziarono ad usare due oggetti fatti per l’industria tessile, per fare, fabbricare, vestiti. Erano la gramola, che è un’impastatrice meccanica, una macchina per impastare, per fare la pasta. Ed il torchio, in inglese press or press machine. Queste due macchine rendevano la produzione di pasta molto più economica e veloce. I napoletani erano così contenti che, in poco tempo, passarono da ‘mangiafoglia’ a ‘mangiamaccheroni’. Il consumo era incredibile. Dopo un secolo, gli spaghetti diventarono il vero street food della città. Infatti era possibile girare per le strade, tra mercati e banchetti, stand, e comprare spaghetti appena fatti, da mangiare con le mani.

Apro una breve parentesi per chi di voi, 20 ascoltatori, conoscesse la commedia dell’arte e Pulcinella, la maschera teatrale di Napoli. Ciòè la personificazione della città di Napoli. Pulcinella mangia sempre spaghetti con le mani, come tutti a Napoli nel diciassettesimo secolo, nel 1600. Lo stereotipo del napoletano era di mangiare spaghetti a tutte le ore. Da questo il soprannome di ‘mangiamaccheroni’.
Ma andiamo avanti…

Come vi dicevo prima, la storia della pasta, come di molte altre cose, non è lineare. Dalla diffusione, dall’espansione dalla Sicilia verso la penisola, cambiarono le tradizioni, cambiò il modo di fare pasta. Ma non tutti mangiavano pasta. La nostra storia non è ancora finita. Ci sono almeno ancora due colpi di scena, due turning point. Non si mangiava pasta al Nord, in Piemonte o Veneto. Non si mangiava pasta al Sud in campagna, fuori dalle grandi città. Era sempre un prodotto per pochi, ricchi, o gente, appunto, di città.

Risolviamo allora il primo problema: come si espanse il consumo di pasta in tutta Italia? Con un piano politico.
Nel 1860, l’11 maggio, Garibaldi, l’eroe nazionale del risorgimento, dell’unificazione d’Italia, arrivò in Sicilia per unire il Nord ed il Sud. Il progetto di unificazione fu studiato a lungo da un altro uomo fondamentale dell’unificazione, il conte Cavour, un piemontese del nord che mangiava, e a volte parlava, come un francese. Dopo la conquista militare, Cavour voleva un paese unito. Alcuni prodotti, come la pizza e la pasta del Sud, erano fondamentali per creare un’identità nazionale. Da lì iniziò la propaganda, l’espansione ed il consumo a livello nazionale. Ma non era abbastanza…

C’è un ultimo importante capitolo di questa storia. È una storia fatta di andata e di ritorno, fatta di emigrazione. Tra il 1860 ed il 1918 circa 14 milioni di italiani lasciarono l’Italia. Si trasferirono in America del Sud e del Nord per cercare soldi e fortuna, per loro e per la loro famiglia. Molti del Nord, veneto, lombardia e piemonte, si trasferirono in Sud America. Spesso lavoravano poco tempo, risparmiavano soldi e poi ritornavano in Italia. Non avevano mai mangiato pasta in Italia, e non mangiarono pasta in America del sud. Non c’era tempo e non c’erano soldi per fare o comprare pasta.

E negli Stati Uniti??? È qui la svolta, l’ultimo turning point. Circa 6 milioni di italiani andarono in America dopo l’Unità d’Italia, dopo il 1860. Il 91% degli emigrati venivano dal Sud Italia, soprattutto da piccoli villaggi e paesini. In Italia non potevano mangiare pasta, ma in America era diverso. Gli emigrati avevano uno stipendio, un salario, cinque volte più alto che in Sud Italia. Potevano allora produrre e comprare tutta la pasta che volevano. La pasta diventò in America un cibo per ricchi, ma alla portata, a disposizione, di tutti.

La domanda di pasta aumentò, aumentò la richiesta. E così i piccoli pastifici italiani, cioè le aziende che producono pasta, anche questi pastifici si espansero. Aumentarono la produzione di pasta da esportare in America ed all’estero in generale. Già nel 1880, a Torre Annunziata, vicino Napoli, c’erano 54 pastifici che producevano pasta da esportare. I «nuovi» americani avevano soldi per comprare pasta dall’Italia e l’industria italiana della pasta produceva soprattutto per l’estero. Nel 1900 l’azienda De Cecco, forse ne avete sentito parlare, inventò l’essicazione artificiale, per essiccare, per rimuovere l’acqua, dalla pasta fresca. In questo modo sarebbe stato ancora più facile e produttivo spedire pasta in America, ma anche in altri paesi nel mondo. Diventò un’esportazione di massa.

Da allora, gli italiani all’estero sono diventati mangiamaccheroni. Il consumo di pasta diventò un modo per identificare, e discriminare, gli italiani all’estero. Vi faccio due esempi. Gli italiani in America venivano chiamati macaroni, nelle miniere in Francia e Belgio spaghettì con l’accento sulla i.

Da allora, soprattutto dopo le guerre, la pubblicità ha contribuito a far conoscere alcuni pastifici più di altri. È stato il caso di Barilla, De Cecco, Agnesi. Soprattutto Barilla, di Parma, nel Nord Italia, estranea, sconosciuta alla cultura della pasta di Napoli, Palermo, Genova e del Sud in generale, si è affermata sul mercato italiano ed ha contribuito dal dopoguerra al consumo interno, al consumo in Italia. Da allora si è creato il mito del made in Italy: solo gli italiani fanno bene la pasta e la pasta vera è solo italiana. Stereotipi per vendere the Italian way

Ma come abbiamo visto in questa lunga storia, è molto più complesso…
Questa storia della pasta ci racconta come non esista un modo unico di fare la pasta, di produrla e mangiarla. Ma soprattutto che l’identità è diversa dalle radici, dalle origini. L’identità è chi siamo, che cosa ci rende diversi dagli altri. Ma le radici, che sono la base che crea l’identità, riguardano tutto il processo di incontri tra persone e culture diverse. Spesso la tradizione è un mito, almeno le sue origini. La storia ridicola, falsa, del marinaio di Marco Polo è divertente, ma non parla di tutte le modifiche, i cambiamenti, gli incontri che ci sono stati nei secoli… E che oggi fanno di un piatto di spaghetti il simbolo dell’italianità nel mondo, ed anche il simbolo di questo podcast.

Se volete leggere di più, vi lascio in descrizione i titoli dei libri che ho letto per questa puntata.
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Per questa puntata c’è un video ed esercizi di comprensione su un piatto tipico di spaghetti
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Come sempre vi ricordo che
Non è la cultura che fa le persone
Ma le persone che fanno la cultura
Quindi, facciamo cultura insieme

A presto ragazzi

Ciao

Impasto: dough
Secco: dried
Filo: thread
Bollire: to cook in hot water
Odierno: present, current
Esclusivo: per poche persone
Punto di svolta: turning point
Essiccare: to dry, dry out
Spago: twine
Carestia: famine
Sfamare: to feed
Industria tessile: textile industry
Impastatrice: mixer, bread maker
Torchio: press, press machine
Pastificio: pasta factory, plant

Sources

Massimo Montanari – Il mito delle origini


Franco La Cecla – Babel Food


Alberto Grandi – Denominazione di origine inventata


DISCLAIMER

As you noticed, the name of the podcast has been changed, as the target of the project. There are too many “Learn Italian with…” about tiny details about the Italian language. However, they do not speak about Italian culture, the many focus of the new “Italian stories with Davide”