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Ciao Ragazzi!
May 18th is International Museum Day, so let’s talk about museums and cultural differences…
From Italy to America, speaking a bit about New Zealand
From Roman gladiators to kiwi soldiers…
What’s next for Italian museums?



Download the full transcript (PDF) or read it here


Ciao a tutti ragazzi

E benvenuti su Italian Stories with Davide
Il podcast che vi parla in italiano di persone, storie e cultura

Come avete notato ho cambiato nome del podcast. Ci sono troppi learn italian with, ma qui non parliamo delle 10 parole da sapere per ordinare in un ristorante o alcune espressioni precise. Qui su Italian stories usiamo l’italiano per parlare di storie, di lingua, di cultura e dei suoi protagonisti.

Ho pensato molto se cambiare nome o no, ma dopo tutto ho capito che senza errori é impossibile creare. Quindi ci teniamo Italian stories with Davide e continuiamo in questo modo.

Prima di iniziare vi ricordo come sempre di iscrivervi al podcast o alla pagina youtube e di mettere un like se siete su Apple podcast. Vi ricordo anche di scaricare la trascrizione del podcast gratuitamente sulla mia pagina patreon (patreon.com/italianstorieswithdavide)

Abbiamo cambiato tutto. Ma iniziamo finalmente questa puntata…

Oggi si celebra la giornata internazionale dei musei e, allora, parliamo di musei, ma anche di differenze culturali e di innovazione. Alcuni di voi mi hanno chiesto di condividere di più le mie esperienze, perché ho molte esperienze personali, e quindi oggi vi racconto due storie, mie, o forse tre. Ma prima di tutto…come sempre…

Sigla e diamoci da fare


Penso che ci sia una data fondamentale per parlare di differenze culturali quando parliamo di musei. Era un giorno di metà novembre 2014 e mi stavo riposando guardando il cellulare. Una notizia arrivò su ogni pagina social e su tutti i siti di notizie online: il presidente della Roma, la squadra di calcio della capitale, in un’intervista alla CNN aveva dichiarato che si sarebbe potuta fare una partita di calcio all’interno, dentro, il Colosseo. L’idea era che i calciatori “Sono come gladiatori moderni. Sarebbe un evento unico. Sarebbe un’ottima idea per raccogliere soldi, fondi, per tutti”. L’idea era quella di giocare una partita, probabilmente senza pubblico, senza tifosi, supporters, ma con le telecamere di televisioni nazionali ed internazionali, di canali web, per far vedere a tutti la partita. Il presidente pensava ad un biglietto di 25 euro per l’evento con circa 300 milioni di spettatori pronti per vedere una partita unica. Una partita al Colosseo che non si era mai giocata e che non si sarebbe mai più giocata di nuovo.

Gli italiani, come su molti problemi, si dividono in due gruppi: Ci sono quelli che sono felici e contenti di poter vedere un evento unico, e quelli che non sono d’accordo. Uno dei primi a parlare è Dario Franceschini, il ministro dei Beni Culturali, che dice subito di no. Niente calcio al Colosseo.

Immaginatevi il fascino di percorrere i sotterranei, di vedere l’elevatore e vedere il Colosseo dal centro… selezionando non la partita di calcio Roma-Bayern, lasciamo stare, ma la possibilità di fare musica classica, di fare spettacoli di teatro, di dramma antico, di un grande concerto diretto dentro il Colosseo…

Il Colosseo non ha niente a che fare con il calcio. Ovviamente dall’altra parte c’è chi dice che il Colosseo era usato dai gladiatori, i calciatori del passato, per intrattenere, divertire, gli spettatori; quindi una partita di calcio sarebbe più naturale di un’opera lirica o teatrale, o niente, come ora. Perchè nel 2014 ed ora nel 2021, l’arena interna del Colosseo non ha niente. Ci sono i sotterranei, the underground, visibili, ma non si possono fare eventi di nessun tipo.

La prima volta che ho visitato il Colosseo era il 2003 ed ero un ragazzino di 14 anni che per la prima volta vedeva Roma, i suoi monumenti e la sua bellezza. Mi ricordo che quando sono arrivato davanti al Colosseo, era immenso, gigante. Sembrava non finire più, quanto era alto. A destra e a sinistra c’erano persone ovunque fuori, che facevano foto e foto e ancora foto. Facevano foto del monumento, foto con amici, partner o figli, foto con uomini vestiti da gladiatori. Era assurdo. Non avevo mai visto nulla di simile. La mia eccitazione era altissima. Non vedevo l’ora, I couldn’ wait, di entrare e vedere che cosa c’era dentro. Non c’era niente. Mi ricordo alcuni sguardi tristi dall’alto: vedevo il centro del Colosseo e non c’era niente e nessuno. C’erano solo archi, che ho scoperto dopo essere i sotterranei dell’arena. Non c’erano eventi o qualcosa di interattivo. Il Colosseo era più bello fuori che dentro.

E quindi anche io, quando ho sentito nel 2014 una proposta di questo tipo, come quella del presidente della Roma, ero abbastanza interessato. Perché no?

Dovete sapere però, cari venti ascoltatori, che la maggior parte degli opinionisti e dei giornalisti hanno etichettato, bollato, labelled, il presidente della Roma come “il solito americano. Che vada in America a fare queste cose! Qui siamo seri: il calcio al Colosseo non c’entra niente, it has nothing to do with it”. Americano? Il presidente della Roma? Ma il cognome è Pallotta! Suona molto italiano…  Certo, ma il suo nome è James, James Joseph Pallotta. Di origine italiana, ma Americano di Boston. Quindi con una visione molto distante dell’arte e della sua fruizione. Per Pallotta l’arte ed i monumenti devono e possono essere usati ancora oggi. Con l’arte ed un buon progetto, si possono fare soldi, intrattenere le persone e non solo osservare in silenzio. Il pubblico è più invogliato, tempted, ha più voglia, di partecipare, è coinvolto, engaged. In questo modo ha più interesse a pagare. È questa l’idea di arte di Pallotta e di molti anglosassoni: l’arte può essere attualizzata, si possono intrattenere meglio i visitatori e si possono fare più soldi.

E cosa pensano gli italiani di arte, musei e monumenti? Oggi ho detto che vi racconto un po’ di esperienze che ho avuto in alcuni musei nel mondo. Penso che la più significativa per capire il sistema italiano sia la Galleria dell’Accademia di Firenze. Se non siete mai stati, o se non vi ricordate, è il museo dove c’è la scultura di Michelangelo, il David, bellissima e che ha il mio stesso nome. E infatti quello era il mio obiettivo: volevo vedere il David e sapere più cose. Così entro al museo e dopo alcune sale di quadri e dipinti medievali, c’è un lungo corridoio con sculture rovinate, ruined, e non rovinate a destra e a sinistra. Alla fine di questo lungo corridoio c’è lui, il David, pronto alla mia visita. Prima di arrivare guardo alcune di queste statue intermedie, ma la mia attenzione è lì al David. Mi avvicino pian piano e osservo le altre persone, gli altri visitatori. Molti di loro sono stranieri, almeno il 50%. E molti di loro sono seduti su alcune panchine nel corridoio e disegnano. Spesso hanno un foglio bianco ed una matita a carboncino, a charcoal pencil, e provano a ridisegnare il David sul loro foglio. “Wow. É la prima volta che vedo questa cosa in una galleria d’arte” penso. E vado avanti. Quando mi trovo davanti al David sono affascinato. È gigantesco e ti fa sentire piccolo, un topolino, di fronte ad un capolavoro. Ma dopo alcuni minuti in cui guardo ogni piccolo dettaglio della scultura, voglio avere più informazioni. voglio sapere altre cose. Ma non c’è niente. Non ci sono altre informazioni o aspetti interattivi. Se volevo sapere la storia della scultura, dovevo leggere qualcosa prima, in una guida o su un libro. Tutto qui. Alla Galleria si arriva preparati o si paga per una guida che spiega tutto come ad una lezione a scuola.

Questa esperienza era un caleidoscopio di tante altre esperienze simili nei musei italiani. Insiemi di oggetti (quadri, documenti, sculture, reperti archeologici, archeological find) senza contestualizzazione, senza storytelling o coinvolgimento, engagement. Di solito in un museo italiano vai per vedere qualcosa che conosci già, che hai già studiato in precedenza, prima. Ma difficilmente impari qualcosa di nuovo. Il museo è contemplazione, osservazione. Si osserva, ma non si fa. Solo la vista è importante.

Secondo il celebre saggio di Howard Gardner sulle intelligenze multiple, esistono diversi modi di imparare. Il modo visuale, con gli occhi, e verbale, attraverso le parole, sono solo alcuni. Esistono altri sistemi come quello chinestetico, toccando oggetti o muovendosi nello spazio, uditivo, ascoltando voci e suoni, eccetera. Ma nel museo italiano tipico esistono solo i primi due: immagini e parole.

A questo punto della puntata la mia domanda è: Come cambierà il museo in futuro in Italia? È ovvio che questo sistema è vecchio e adatto solo a persone più vecchie, o meglio non giovani, non così giovani. Ma un giorno queste persone non andranno più al museo. Ci andranno i giovani di oggi al museo… Ma… ci andranno? Secondo alcuni dati meno del 50 % dei giovani sotto i 25 anni sono andati almeno una volta al museo. Nei musei italiani ci sono poche attività interattive o di intrattenimento, pochi seminari. Di solito c’è l’opera e, se possibile, una guida. Fine. È abbastanza, soprattutto se hai così tante opere d’arte come a Roma e Firenze. Non c’è bisogno di innovare, perchè ci saranno sempre turisti da tutto il mondo, il turismo di massa, pronti a pagare il biglietto, senza sapere il mito di David e la storia del marmo di Carrara. Ma gli altri musei? Quelli più piccoli con meno turisti? Perché non è cool andare al museo per un ragazzo di oggi?

Allora prendiamo un aereo, anzi… Prendete un aereo immaginario con me e andiamo a 17 mila chilometri di distanza. Vi voglio portare in Nuova Zelanda. Facciamo un bel viaggio in aereo e poi torniamo indietro in Italia. Come vi ho raccontato nella presentazione del podcast, prima del rebranding, ho vissuto un anno ad Auckland, in Nuova Zelanda. Una realtà molto diversa da quella europea. Pensate solo che oggi Auckland ha un milione e mezzo di abitanti e nel 1840 ne aveva circa cento e c’era solo un porto. La città non esisteva. Queste informazioni sembrano inutili, ma vi spiegherò dopo perché sono importanti.

Comunque… Parlavamo di musei… Ad Auckland ho visitato due musei, i due più famosi: l’Art Gallery in centro città ed il War Memorial Museum. Come avete già capito il primo aveva quadri, dipinti e sculture, come un tipico museo per italiani. Eppure… eppure aveva tantissime spiegazioni interattive con video, con materiali, con proiezioni da ogni parte. C’erano alcuni spazi enormi, una specie di piazza interna al museo dove facevano workshop di arte e discussioni. Il museo non era un luogo chiuso, ma un posto da vivere, dove andare per socializzare ed imparare.

Il secondo museo di cui vi parlo è il War Memorial, ma non parla solo di guerra. È in mezzo ad un parco molto grande, dove ogni anno la comunità cinese di Auckland celebra il capodanno cinese. Vi ricordate che vi ho parlato prima dei gladiatori e dei centurioni romani davanti al Colosseo, quelli che avevo visto da ragazzo a Roma? Non ci crederete ma durante il capodanno cinese del 2017, quando ero ad Auckland, ho visto un gruppo di cinesi, vestiti da centurioni romani, che affermavano che una legione romana era arrivata fino in Cina nel passato e che loro erano i discendenti diretti. Anche se a me non sembrava…

Ritorniamo al museo. Voi vi aspettereste un museo di guerra. Invece no. C’era un po’ di tutto: c’era una parte etnografica sulla civiltà maori, prima dell’arrivo degli europei, per esempio. Potevi entrare in una vecchia capanna maori, a hut, a cabin. C’erano mappe interattive sull’espansione maori prima, europea poi. C’erano le prime foto degli europei e ricreazioni di un villaggio tipico. Ad un altro piano c’erano fossili ed animali estinti, con rumori di sottofondo, in the background, ed oggetti interattivi. Alcune parti erano meno interattive e più tradizionali. Devo dirlo.

Ma secondo tutti in Nuova Zelanda, era un bel museo, ma non un’esperienza. Per fare un’esperienza dovevo andare nella capitale, a Wellington, la città sul golfo, che mi ricorda sempre Napoli, ma con più freddo e vento. Lì hanno creato gli effetti speciali del film Signore degli Anelli (Lord of the rings), quindi sanno come attirare, to attract, to lure, e intrattenere gli spettatori. A Wellington c’è il museo Te Papa. Nel 2020 i Musei Vaticani erano al quarto posto per visitatori al mondo. Ma il museo Te Papa era al 15esimo posto, molto prima di tante eccellenze italiane, come gli Uffizi, la Galleria dell’Accademia ed altri ancora. Ma perchè più di 800mila persone hanno visitato il Te Papa nel 2020? Un italiano o un europeo tradizionalisti potrebbero pensare: “Che cos’hanno in Nuova Zelanda? Fino all’Ottocento non c’era molto da vedere, e… beh, anche dopo, dal punto di vista storico…”

Il Te Papa sa fare promozione e sa come vendersi. E dà al visitatore un’esperienza, non solo oggetti. Crea una storia con quegli oggetti ed usa diversi canali sensoriali per sviluppare questa esperienza. Ricordo che una parte del museo era dedicata alla Prima Guerra Mondiale, perché i soldati neozelandesi avevano combattuto ed erano morti in Turchia sotto l’esercito dell’Impero britannico. Per loro è stato un momento importante della loro storia, da celebrare, un momento dove sono diventati una nazione unita e patriottica. Ma la parte dedicata alla storia della guerra non era noiosa come in altri musei storici in Italia. Non erano solo quadri e documenti, senza spiegazioni. C’erano statue giganti dei soldati di 3 o 4 metri mentre combattevano. C’erano voci di soldati che leggevano le pagine del proprio diario. Raccontavano la loro storia e la storia della guerra. Anche la sezione dedicata alla geologia e quella dedicata all’arte erano interattive. Mi ricordo che si potevano toccare diversi cristalli e metalli per capire la differenza con le mani, prima che con spiegazioni scritte. La parte di arte aveva quadri su pareti, ma anche installazioni dove potevi capire l’arte muovendoti con il tuo corpo. Era un’esperienza da vivere con tutto il corpo, anche se non eri preparato prima di entrare nel museo.

Ora riprendiamo il nostro aereo, facciamo uno scalo a Dubai, o in Cina o ad Abu Dhabi, e torniamo in Italia. Esistono queste realtà in Italia? Poco.

Se siete stati a Torino, forse siete andati al Museo del cinema di Torino, dentro la Mole Antoneliana, che ha un approccio abbastanza interattivo per i visitatori. Oppure penso al Museo della Scienza di Milano, molto simile. Sono poco interattivi, ma è già qualcosa. In Italia la regola generale rimane che il museo è fatto per le cose serie, per osservare, non per giocare. Le cose interattive sono per i bambini, non per gli adulti. Chi viene al museo si deve adattare. Due modi di pensare molto diversi si scontrano, they clash: uno italiano più tradizionale ed uno anglosassone più innovativo.

Ma la mia domanda rimane la stessa: Se non ci sarà qualcosa di educativo ed interattivo che futuro avranno i musei? I ragazzi di vent’anni di oggi non avranno venti anni per sempre. Avranno trenta, quaranta anni. E cosa faranno se non sono mai andati prima ad un museo o se è stato sempre noioso quando sono andati? Il rischio è che il museo diventi solo un posto dove andare, come in una to do list, quando visitiamo altre città. Non sapevamo niente del David prima, e non sapremo niente del David poi. Però sono sicuro che avremo una bella foto da far vedere su Instagram ed altri social per far vedere che ci siamo stati.

Direi di fermarci qui.

Come sempre ho iniziato la puntata con una domanda e l’ho finita con più domande di prima. Sono curioso di sapere la vostra opinione, perchè è un argomento, un tema, che crea opinioni molto molto diverse.

Se volete scrivermi la vostra opinione, i vostri feedback o mandare consigli o suggerimenti, andate sulla mia pagina instagram e commentate o mandatemi un messaggio. Trovate il link in descrizione.

Vi ricordo che su patreon trovate la trascrizione gratuita del podcast ed attività EXTRA per gli abbonati. Per questa puntata sarà una lettura sulle opere digitali ed il futuro del museo. Trovate il link in descrizione.

La prossima settimana prendiamo la bicicletta e parliamo di ciclismo in Italia. Quindi non dimenticate di seguirmi e di mettere like se mi seguite da Youtube o Apple podcast.


Non è la cultura che fa le persone
Ma le persone che fanno la cultura
Quindi, facciamo cultura insieme

Ci vediamo presto ragazzi

Ciao

Sotterranei: the underground
Tifoso (squadra): supporter, fan
Non vedevo l’ora: I looked forward, I couldn’t wait
Non c’entra niente: it has nothing to do with it
Invogliato: tempted
Coinvolto: engaged
Rovinate: ruined
Matita a carboncino: a charcoal pencil
Reperti archeologici: archeological find
Coinvolgimento: engagement
Capanna: hut, cabin
In sottofondo: in the background
Attirare: to attract, to lure
Scontrarsi: to clash

Sources

https://video.repubblica.it/embed/edizione/roma/colosseo-franceschini-lasciamo-stare-le-partite-di-calcio/184153/183004