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Ciao Ragazzi!
In this episode, we speak about rap music in Italy through the eyes of Paola Zukar, one of the most influential managers in Italian music.
Why was rap so slow to rise for Italian tastes?
Why is it here to stay in Italian society?
Put on your headphones, raise the volume and let’s get started



Download the full transcript (PDF) or read it here


Ciao ragazzi
E bentornati su Italian stories with Davide
Il podcast che vi parla in italiano di storie, lingua e cultura

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Allora, alcune settimane fa ho letto il libro di Paola Zukar, la signora del rap in italiano. Zukar è, ed è stata, la manager più influente di musica rap in Italia. Fortunatamente per noi, alcuni anni fa ha deciso di scrivere un libro sulla storia italiana del rap: come è cambiato e come è cambiata, o non è cambiata, la società italiana. Oggi parliamo di rap e di Italia.

Mettete le cuffie, gli auricolari o lo speaker ad alto volume.

Sigla e diamoci da fare


Siamo nel 1988, in America, a Washington. Non in Italia. Paola Zukar è una ragazzina di nemmeno vent’anni che sta visitando gli Stati Uniti per la prima volta. Ha gli occhi aperti su tutto quello che la circonda. È comprensibile. È stata la stessa cosa per me la prima volta che sono andato in Inghilterra…

Torniamo a Washington. Secondo Zukar la capitale americana era una normale città durante il giorno, ma esplodeva di feste e musica rap e funk di notte, grazie al 70% dei suoi abitanti afro-americani. E poi i vinili di artisti rarissimi, impossibili da trovare in Italia. Ne aveva comprati talmente tanti che non entravano nella valigia. Era come essere in un’altra dimensione…

Alcuni anni prima a Genova, la sua città, era da un amico e per caso c’era la televisione accesa. Stavano parlando di fumetti della Marvel. Quelle cose da ragazzini: “Quale preferisci tu?”, “No Spiderman è meglio…”. Insomma, cose così. Poi ad un certo punto sentono un suono diverso…

Wow… ma non parlavano, ma nemmeno cantavano… Paola non lo capiva ancora, ma stavano rappando, facendo rap.

Da allora ne sono passati di anni. Zukar ha fatto di questo un lavoro, quando ancora il rap in Italia non esisteva. Certo, c’era qualche radio che passava alcuni pezzi americani, ma molto pochi. C’erano alcuni artisti italiani che provavano a fare rap, ma era solo un pop con molte rime. Avevano testi positivi, poco critici, senza parolacce, swear words. Erano pochi e molto pop, ovvero perfetti per il pubblico italiano. Ma non era rap. Questo genere per tutti gli anni 90 è rimasto nascosto, undeground. Era una nicchia piccola piccola, a niche. Pochi conoscevano artisti rap italiani. Pensate che non c’era Youtube, Spotify, Soundcloud. C’era la tivù e la radio, forse qualche rivista, magazine, di musica specializzata, ma se non ne parlavano della musica rap, non esisteva. Le radio italiane erano molti diverse da quelle americane. Non cercavano un nuovo pubblico, una nuova audience. La radio italiana voleva cose spensierate, carefree, senza problemi sociali. Cose rassicuranti, reassuring, non problemi. La radio italiana ed anche le major, le case discografiche, the record companies, cercavano canzoni per tutti: per giovani e per vecchi, per persone di città e per persone di paese, di provincia. Un grande compromesso per cui vinceva sempre la musica pop.

I giovani non avevano voce in quella società ed anche i loro gusti musicali, their tastes, non erano importanti.

Dobbiamo poi ricordare che il rap è un genere che nasce in America ed ha molti punti culturali unici in quel paese. Di solito parla di storie difficili, di minoranze, di persone che usano droghe, di povertà, di immigrati. In Francia, negli anni 90 era uscito un film, La haine, L’odio in italiano, che parla delle banlieue parigine, dove alcuni ragazzi vivono una vita difficile. Questo film ha lanciato il rap in Francia. Ma in Italia, questo contesto di disagio, di povertà, non c’era. O forse c’era ma nessuno lo voleva vedere. Nessuno aveva problemi familiari, di droga, di povertà, emarginazione.

Negli stessi anni Zukar aveva iniziato a lavorare ad una rivista di musica rap, AL magazine. Aveva trovato AL magazine in un negozio di dischi a Genova ed aveva subito mandato una lettera alla redazione, the editorial staff, per lavorare. Senza soldi. Era tutto per passione, ma subito dopo hanno provato a farlo diventare un lavoro vero, ma i soldi rimanevano pochi. Non c’era molto pubblico, molta audience. Nel 2003 inizia a lavorare per una major, la Universal Music. Lavora part-time per 300 euro al mese e si occupa di promozione del rap, il rap americano però. In quel momento in Italia andava molto Eminem, un ragazzo bianco e occhi azzurri. Ovviamente gli italiani seguivano il ritornello, the chorus, perché non capivano il testo in inglese e, quindi, non capivano tutti i giochi di parole, le parolacce e tante altre cose “negative”. La facciata di uomo bianco era abbastanza.

Ma dopo poco qualcosa cambia. C’è un artista italiano che potrebbe essere interessante. Si chiama Fabri Fibra ed ha fatto due dischi con una casa discografica indipendente. Tutte le major non si fidano: e se questo progetto va male? Meglio investire sul pop… sono meno soldi, ma sicuri… senza rischi. Paola Zukar ha in mano il demo di Fabri Fibra, ma nessuno crede in lui. Ha contenuti troppo forti, parolacce, non è rassicurante per gli italiani, parla di problemi sociali. Tutto sembra contro…

Ma a volte ci vuole il personaggio giusto al momento giusto. Ed il nostro personaggio giusto è un dirigente, un manager alto, della Universal Music. Un francese che viene dal rap francese, molto più avanzato del nostro in quel momento. Ascolta il disco di Fabri Fibra e gli piace subito, anche se non capisce tutte le parole. Per fortuna. Decide di investire su questo Fabri Fibra.

È un meteorite, un meteorite che nessuno si aspettava e che crea un nuovo inizio nella musica italiana. Prima e dopo. Fibra rimane per settimane primo in classifica, in the charts, e continua a vendere e fare mille concerti. Apre la strada, he paves the way,  ad altri rapper importanti, come Marracash, i Club Dogo ed altri ancora. Non si torna più indietro. Da allora il rap italiano è stabilmente in radio e nel mainstream italiano.

Sembra tutto bello, ma…
È qui che accade qualcosa di molto italiano.

I giornali iniziano a parlare male di Fabri Fibra e di altri artisti rap. I giornalisti fraintendono, they misunderstand, i testi di Fibra. Non capiscono lo scherzo, la satira, la parodia che il cantante crea con i suoi testi per parlare di cose serie. Il giornale più importante d’Italia, Il corriere della sera, parla di scandalo: nei suoi testi ci sono parolacce e sesso. Questi cantanti non devono cantare.

Un altro problema è il personaggio pubblico. Per esempio, Marracash scrive testi poetici e bellissimi. Ma nessuno ascolta i suoi testi. Tutti guardano come si veste, i suoi orecchini. Per i media italiani è abbastanza, non può esistere poesia.

Ma Fabri Fibra dava una voce ai giovani, parlava per loro, come parlano loro, ma anche con molta satira ed ironia. Ma i media italiani non capivano o non volevano capire. In Italia molte volte c’è la regola di non parlare di cose brutte. Si parla solo di cose belle. La musica dev’essere rilassante, tranquilla. Non impegnata, socially active. Le persone non devono pensare ai problemi.

È come se la cultura alta italiana non riconoscesse il rap, ovviamente alcuni artisti, non tutti, che creano, che fanno veramente cultura. Prima di fare questa puntata ho cercato sull’archivio di un giornale culturale online alcune parole come “rap”, “rapper”, “hip hop”, “Fabri Fibra”, “Marracash” e non ho trovato niente. Niente. Strano. In America dicono che se lo scrittore afro-americano Ralph Ellison fosse vivo, ascolterebbe Kendrick Lamar. Ma da noi in Italia no. Il rap è per i ragazzini, forse. Altre volte non è per nessuno.

Un altro problema è che tutti iniziano a fare rap. Anzi, tutte le case discografiche, record companies, firmano tutti i rapper. Prendono tutti per cavalcare l’onda, to ride that wave. Il rap diventa superpromosso nel 2013: è dappertutto, in radio, televisione, internet. Ma quello che succede è inevitabile. Ci sono alcuni cantanti bravi e molti che non lo sono. Molti cantanti non hanno uno stile musicale, usano rime, ma i contenuti non sono rap. Non dicono parolacce, non provocano, non parlano di problemi o cose serie. È una versione pop: tutto è bello, tutto va bene in Italia. Non ci sono problemi. Le radio, la tivù ed i giornali sono contentissimi di questo rap-pop tranquillo che piace a tutti e non parla di cose drammatiche. È spensierato, carefree, senza pensieri brutti. Il nostro rap-pop non è quello americano dove c’è disagio o denuncia sociale, social denounce. Qui va tutto bene.

Come in tutti i generi musicali, era normale che accadesse, che arrivassero artisti e cantanti bravi e altri non bravi. Anche nel rap italiano è successo lo stesso. In Italia l’affermazione, il successo, del rap, come di altre cose, è un processo lento, molto lento. Molte volte la cultura dominante, pop e spensierata, mangia la sottocultura rap. Ma altre volte crea cantanti nuovi che portano il rap avanti e parlano ai giovani di problemi sociali.

Anche questa storia che vi ho raccontato oggi ci dice che le cose si possono cambiare, ma in Italia c’è bisogno di tempo. E non sempre è possibile. La cultura dominante è veramente dominante in Italia. E a volte bisogna fare compromessi per avere successo. Ma altre volte no. Ma per fortuna, ormai il rap italiano, quello vero, è adulto ed ha un suo stile. Ed è qui per rimanere.

Questo è un po’ il segnale del cambiamento. Internet senz’altro ha favorito questa distribuzione, che per anni è stata difficile. È stato molto difficile arrivare direttamente ai ragazzi. Quindi col successo di Apple Music, di Spotify, di tutte le piattaforme di streaming, effettivamente, questo prima o poi ha dato i suoi risultati. La musica scelta dai ragazzi di questa generazione è il rap.

Cosa ne pensate di questa storia? Ascoltate musica rap o vi interessa di più l’aspetto sociale di quello che ho raccontato?
Scrivetemi sulle mie pagine Facebook o Instagram. O lasciate una recensione su Apple podcast.

Vi lascio in descrizione il link al libro di Paola Zukar ed una piccola playlist di alcuni artisti rap italiani. Purtroppo per problemi di copyright non ho potuto includere pezzi di album. E quindi vi lascio alcune canzoni in descrizione.

Vi ricordo di iscrivervi su Spotify, Apple, Google podcast, Youtube e di seguirmi su Instagram e Facebook per tutti gli aggiornamenti. La prossima settimana parliamo di fumetti, comics, e graphic novel.

Per questa puntata è tutto, ma ricordate che

Non è la cultura che fa le persone
Ma le persone che fanno la cultura
Quindi, facciamo cultura insieme

Alla prossima settimana, ragazzi

Ciao

Parolacce: swear words
Rivista: magazine
Nicchia: niche
Spensierato: carefree
Rassicurante: reassuring
Casa discografica: record company
Gusto: taste
Redazione:  editorial staff
Ritornello: Chorus
Classifica: charts
Aprire la strada: to pave the way
Fraintendere: to misunderstand
Impegnato: socially active
Cavalcare l’onda: to ride that wave
Denuncia: denouce
Fumetti: comics

Sources

Paola Zukar – Rap: una storia italiana


A lezione di Hip Hop da Paola Zukar: “La musica scelta da questa generazione è senza dubbio il rap”


Fabri Fibra @ TRL Padova


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