fbpx
Seleziona una pagina

in this short episode, we talk a bit about foreign words in Italian today. Are they an asset? Are they a problem? Let’s find it out…



Download the full transcript (PDF) or read it here


Ciao ragazzi

E bentornati su Italian stories with Davide

Il podcast che vi parla in italiano di storie, lingua e cultura

Prima di iniziare vi ricordo di iscrivervi al podcast, se non lo avete ancora fatto. Mi trovate su Spotify, Google Podcast, Apple, Castbox, Deezer, Youtube o sul mio sito. Lì trovate anche la trascrizione gratuita di tutti gli episodi, con le parole più difficili e contenuti extra.

Sul mio sito italianstorieswithdavide.com trovate anche un bottone dove potete fare donazioni con Paypal, se volete supportare il podcast. Parte delle donazioni andranno a una ONG o NGO come Emergency, Save the children o altro. Ma vi farò sapere presto. Se avete idee o feedback, scrivetemi.

Torniamo all’episodio. Oggi non parliamo di persone o icone d’Italia, ma ho pensato di parlare un po’ di lingua italiana. Negli ultimi anni le parole straniere sono esplose in italiano, creando molti molti problemi linguistici e sociali. Ne parliamo tra poco…

Ma prima, sigla e diamoci da fare…


In questa pandemia sui mezzi di informazione, i mass media, italiani è stato un continuo di parole e parole inglesi, smartworking, lockdown, spike, spillover, task force, wet market, come se non esistessero parole italiane. Ma non è sempre stato così. All’inizio della pandemia, quando il COVID19 era solo in Cina i giornalisti italiani parlavano di restrizioni, blocco, isolamento, confinamento, serrata, anche coprifuoco, curfew. Tutto è cambiato quando il virus è arrivato rapiditamente in Occidente, soprattutto in Regno Unito e America, i Paesi anglofoni. Da allora tutti hanno iniziato a parlare di lockdown. La stessa cosa per droplet, che può essere tradotta in italiano come gocciolina.

La parola più divertente e ridicola rimane però smartworking, sostituto di lavoro da casa, remoto, agile. È divertente perché in inglese la parola smartworking non esiste. Smart per gli italiani significa efficiente, come per altre parole che usiamo in inglese: smart card, smartphone, smart tv, ecc… E’ molto interessante però parlare con un inglese di smarworking quando lui non capisce che cosa stiate dicendo.

In tutto questo contesto pandemico, noi abbiamo esportato la parola quarantena, una parola di origine veneziana, che significa quaranta giorni, perchè in passato, le persone che arrivavano a Venezia dal mare dovevano rimanere quaranta giorni isolati, prima di entrare in città. Potevano portare malattie, pandemie e virus dal loro viaggio.

Le lingue cambiano, non sono pure. E spesso le parole passano da una lingua ad un’altra. Poche persone sanno oggi che la parola ragazzo viene dall’arabo raqqāṣ, il verbo guardare dal tedesco antico wardōn, marmellata è portoghese, bottiglia dallo spagnolo, come appartamento. E se volete bere una birra, parola di origine tedesca, dovete usare un bicchiere, una parola francese.

Come vedete, tutte queste parole hanno origine straniera, ma sembrano in superfice italianissime, perché erano adattate. La stessa cosa è successa alle parole italiane in lingue straniere. Pensiamo alle parole del cibo, della poesia, della musica, come pasta, pizza, opera, sonetto

Ma non solo. La parola soldato, inglese soldier, e praticamente uguale in greco, francese, spagnolo, olandese deriva da un latino veneziano, da soldi, money. Chi è pagato per combattere, to fight.

Poi ci sono parole che hanno origine italiana, sono passate in altre lingue e sono ritornate come straniere in italiano. Facciamo due esempi: baguette e manager. La baguette, il tipico pane francese, deriva dalla parola francese baguette, che ha origine nell’italiano bacchetta, wand, stick. La parola manager che oggi sostituisce le parole responsabile o direttore, viene dal verbo to manage in inglese, ma questo deriva dall’italiano maneggiare, to handle.

Ma facciamo un passo indietro. Fino alla fine del 19esimo secolo le parole straniere erano spesso latinizzate e italianizzate, ovvero adattate. Ma già verso la fine del secolo, quando gli inglesi hanno iniziato a esportare la tecnologia e lo sport, alcune parole non si traducevano, come tunnel o football. Ma molte altre erano adattate come lampada da lamp, bistecca da beef steak, eccetera.

Ma tutto cambiò con il fascismo. La dittatura iniziò a promuovere una politica linguistica di traduzione delle parole straniere. Per esempio, film divenne pellicola. Eppure dopo la guerra, quando l’influenza culturale americana degli anni Cinquanta e Sessanta era estesa, molti giovani italiani iniziarono ad usare le parole in inglese, percepite come di moda, più di moda dell’italiano. La tendenza è continuata ed esplosa dagli anni Novanta, dall’arrivo di Internet e della globalizzazione.

Il dato più interessante è che nel 71,5% dei casi le parole inglesi non sono adattate e creano problemi di sistema. Spesso finiscono con una consonante, sono maschili e non cambiano al plurale, come computer e yogurt. Spesso cambiano pronuncia e sono ibridi, come snobbare, bluffare, computerizzato.

Per chi svolge attività che non consento lo smartworking, sarà riconosciuto l’accesso ai congedi parentali straordinari, o al contributo babysitting… Chissà perché dobbiamo sempre usare tutte queste parole inglesi…

Questo discorso del primo ministro Draghi sottolinea un problema. Non si possono sostituire le parole straniere con quelle italiane? Assolutamente. Ci sono casi dove è impossibile ed è difficile da applicare. Per esempio la parola routine, che arriva dal francese, attraverso l’inglese. Sarebbe difficile e lungo sostituire la parola routine con procedure ripetitive.

Ma perchè gli italiani preferiscono vision a visione, competitor a concorrente, street food a cibo da strada? Perchè il mouse da computer per gli spagnoli diventa ratón e per i francesi souris ma in italiano rimane mouse? Usiamo le parole straniere perchè sembranno dirette, di moda, innovative e perché non amiamo abbastanza la nostra lingua. Eh sì. Francia e Spagna hanno una storia nazionale molto lunga, più di 500 anni di unità. L’italiano esisteva prima della nascita dell’Italia e non era la lingua di tutte le persone. Abbiamo solo circa 150 anni di storia linguistica e per questo non abbiamo senso nazionale e linguistico.

In altre parole, è meglio una parola inglese che sembra nuova, internazionale rispetto ad una parola italiana, percepita come vecchia. Questo ci dà l’illusione di essere internazionali quando usiamo parole straniere. Ma le statistiche dicono che siamo ultimi in Europa per la conoscenza dell’inglese. Solo il 30% degli studenti arriva a livello B2 in inglese. Vi lascio un link in descrizione, se volete approfondire.

Il problema è che non sappiamo l’inglese e stiamo dimenticando l’italiano. Usiamo la parola location al posto di locale, posto, luogo, ambiente, atmosfera, ma anche per luogo ricercato, raffinato e curato. Usiamo una lingua sempre più creola, pidgin, con meno parole, semplificata. E se non abbiamo abbastanza parole, la nostra abilità di comunicare è bassa.

Allora la strategy dev’essere in linea con il business plan. Stiamo nel budget perchè tanto di budget non ce n’è, ma la visibilità è al top… E mi raccomando, il report ASAP.

Il secondo problema riguarda la nostra cultura di fronte alla globalizzazione. Le parole che importiamo sono in inglese, anche se in Italia vivono un milione di rumeni, 400 mila albanesi, 400 mila marocchini, circa 300 mila cinesi, 200 mila ucraini. Ma non ci sono parole delle loro lingue adottate in italiano. Abbiamo un tipo di razzismo linguistico, importiamo parole di moda ed efficienti solo dall’inglese. Ma è ovvio. L’inglese è la lingua franca di oggi e la ricerca scientifica è fatta quasi interamente in inglese. Ma la cultura è importante e la cosa migliore sarebbe conoscere bene due lingue, l’italiano e una o due o tre lingue internazionali. Non parlare una lingua male.

Ma perché usiamo così tante parole straniere? Politici e mezzi di informazione hanno iniziato a usare queste parole per tutto, per parlare di leggi, come il job act o la flat tax e tutto è diventato più difficile da capire. In Francia invece la costituzione vieta l’uso di parole straniere nelle istituzioni. La lingua è il francese e i politici devono usare il francese per rispettare i cittadini e per la trasparenza. L’uso di parole straniere nelle leggi e nella politica crea confusione e mancanza di trasparenza.

Dobbiamo essere orgogliosi della nostra lingua, che non è vecchia, ma è il nostro patrimonio, la nostra cultura. Penso che sia anche importante conoscere lingue internazionali, soprattutto per la ricerca scientifica, ma se parliamo un pidgin itanglese, perdiamo la nostra eredità culturale e non siamo competitivi in un mondo globale.

Ma forse questa tendenza di semplificazione, di internazionalizazzione è naturale. Tutte le lingue tendono a semplificare e la lingua non è pura, ma è di chi la parla. Chissà che cosa succederà?

Però per concludere, nessuna lingua è pura, ma tutte si influenzano quando si incontrano. Ma se usate una parola inglese in italiano, chiedetevi prima se esiste già una variante in italiano. Sono sicuro che scoprirete cose nuove, migliorerà la vostra cultura e sarete migliori comunicatori in italiano… e anche nella vostra lingua.

Bene. Questa puntata è stata molto interessante da preparare e vi dico, lo ammetto, ho imparato tantissime cose che non sapevo. Spero sia stato lo stesso per voi.

Fatemi sapere, commentate e condividete l’episodio su Instagram e Facebook. Vi ricordo di iscrivervi al podcast per non perdere gli aggiornamenti e fare una donazione sul mio sito se volete supportare il progetto.

Ci vediamo tra due settimane con un nuovo argomento e non dimenticate che

Non è la cultura che fa le persone
Ma le persone che fanno la cultura
Quindi, facciamo cultura insieme


Alla prossima, ragazzi
Ciao!

Coprifuoco: curfew
Smartworking: remote working
Serrata: lockdown
Gocciolina: droplet
Soldi: money
Combattere: to fight
Bacchetta: wand, stick
Maneggiare: to handle
Concorrente, avversario: competitor
Mancanza: lack

Sources

Smart working e baby sitting, Draghi: «Chissà perché dobbiamo usare tutte queste parole inglesi»


From Bello to biutiful: what’s going on with the Italian Language? | Annamaria Testa


Antonio Zoppetti – Diciamolo in italiano


Valeria Della Valle, Giuseppe Patota – La nostra lingua italiana


Claudio Marazzini – L’italiano è meraviglioso


Edoardo Lombardi Vallauri – Parlare l’italiano


L’ITALIA È ULTIMA IN EUROPA NELLA CONOSCENZA DELL’INGLESE

https://thevision.com/cultura/italia-conoscenza-inglese/


ARTICOLI

https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/anglicismi2/5_Zoppetti.html


https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/italiano_inglese/rossi.html

https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/parole/virus_anglicus.html


https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/scritto_e_parlato/forestierismi.html


https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/scritto_e_parlato/ibridazione.html