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Ciao Ragazzi!
Today is 25th April and in Italy, we celebrate Liberation Day from the Nazi and Fascist regimes.
I thought about reading a short story by a famous contemporary writer, Beppe Fenoglio, to celebrate it.
The values of Resistance and Liberation will exist only if we keep on remembering them.



Download the full transcript (PDF) or read it here


Ciao ragazzi, sono sempre Davide e questo è sempre Learn Italian with Davide, il podcast che mi parla di lingua e cultura italiana a 360°.

Questa puntata esce il 25 aprile e, come ogni 25 aprile, in Italia celebriamo il giorno della liberazione dal regime nazista e fascista. Per questo motivo ho pensato di creare una puntata bonus proprio per ricordare la liberazione e la resistenza. Inizierete a pensare che Learn Italian with Davide è un po’ pazzo, un po’ anarchico che ha un episodio bonus anche prima della puntata numero uno. Eh sì, è così. Faremo in questo modo.

Quindi, oggi vi voglio raccontare una storia, una breve storia dello scrittore italiano Beppe Fenoglio, che ha combattuto durante la resistenza con i partigiani contro i fascisti vicino alla città di Alba, in Piemonte, nel Nord Italia. La storia da me adattata si intitola Gli inizi del partigiano Raoul,

allora sigla e diamoci da fare.


Sergio era un ragazzo di Castagnole, nella collina piemontese. Voleva arruolarsi, entrare nei partigiani per combattere i fascisti. Aveva solo diciott’anni, un cinturone, un impermeabile e basta. Veniva da una famiglia di proprietari, gente con i soldi, che lo aveva mandato a studiare in città. Studiare era per pochi. Lasciato il paese, tirò fuori la pistola nuovissima e se la mise nel cinturone, per dare un significato, per non sembrare solo un ragazzo. Ma era leggero e sereno, come non mai. Aveva lasciato la madre vedova, senza marito, ma si sentiva figlio di nessuno solo al mondo. Questa è la condizione ideale per fare due cose veramente dure per una persona: andare in guerra e emigrare. Sergio andava in guerra.
Arrivò a Castino, un paesino occupato dai partigiani, e subito vide un partigiano, uno di questi, al posto di blocco.

– C’è il comandante Marco? – chiese.
– Per cosa?
– Vorrei arruolarmi, se non è troppo tardi
– Come conosci Marco? chiese lui.
– E’ famoso, tutti lo conoscono
Il partigiano ci pensò. Prese una pausa e poi chiese: – Non hai del tabacco?

Il partigiano si aspettava del tabacco di bassa, scarsa qualità. Invece, Sergio tirò fuori due belle sigarette di ottima, buonissima qualità. Mentre l’uomo si accendeva una sigaretta – non aveva fumato una così buona da molti mesi ormai – sentirono un rumore. Subito, Sergio si girò con la mano sulla pistola, il partigiano restò immobile. Era una vecchia che usciva di casa per chiamare le galline.

– Ragazzo, devi saper distinguere i rumori, se vuoi fare il partigiano. Prima o poi finisce male
– Allora, mi dici dov’è Marco?
– In comune, in piazza – finì il partigiano. Lasciò Sergio lì, da solo, e andò verso una ragazza che stava arrivando dalla strada.

Arrivato al Comune, bussò alla prima porta. Niente, nessuna risposta. Aprì. Nessuno. Vuota. Provò allora la seconda. Niente, nessuna risposta di nuovo. Apri e vuota ancora. Alla terza non bussò; aprì e vide una ragazza con le gambe aperte e sopra di lei un uomo. Si staccarono e l’uomo lo guardava. Aspettava che Sergio l’intruso parlasse.Mi hanno mandato per trovare Marco – disse Sergio.

– Marco sono io – disse l’uomo mezzo nudo. Aveva la più bella faccia che Sergio avesse mai visto.
– Sono venuto per arruolarmi, se non è troppo tardi.
– Sei arruolato – rispose Marco – in quanto essere tardi, non è mai troppo tardi. La ragazza nel frattempo si stava rivestendo.
– Sei solo uno studente – pensò Marco ad alta voce.
– Già
– Bene, non ci sono tanti studenti tra i partigiani. Ne terrò conto. Poi vide la cintura di Sergio. Da un lato dell’impermeabile si vedeva la pistola.
– Hai fatto bene a venire con una pistola, perché qui non ne abbiamo altre per i nuovi. Da Alba siamo tornati con meno armi di quante ne avevamo quando ci siamo entrati. A proposito, come ti dobbiamo chiamare?
– Qual è il tuo nome per la guerra?
Lui si era scelto il nome di Raoul fino dalla notte che aveva deciso di andare coi partigiani. Sapeva perciò come rispondere, ma si vergognava. Marco ripeté la domanda. Si fece forza e disse: – Avevo pensato di farmi chiamare Raoul – con un tono come se non fosse ben sicuro. Poi aspettò che Mark e la ragazza scoppiassero a ridere, invece…
Invece Marco disse – Raoul, grande nome di battaglia. Credo che sia l’unico Raoul in giro per le colline. Bene. Sei arruolato. Gli altri sono a fare tiri con la pistola Vai a conoscerli.

Uscito dal municipio sentì gli spari delle pistole. Sentiva colpi ovunque. Non vedeva niente in alto. Allora capì che erano verso la valle. Prese un sentiero. I partigiani erano circa 30 e sparavano giù nella valle, a quei cosi di cemento, dove i contadini tengono il verderame. Raoul, scese ancora e passò sul sentiero dei partigiani. Si avvicinava piano. Si sentiva molto peggio di quando era entrato per la prima volta a scuola.
Forse gli avrebbero detto «Sei un nuovo, eh? È adesso che arrivi? Hai fatto con comodo, eh? Bravo, se in ritardo di dieci mesi in confronto noi. Dove sei stato fino a oggi? Nascosto da qualche parte? ». Invece, ancora una volta, niente. Si fermarono, lo guardarono poi tornarono a fare esercizio con la pistola.
Raoul si mise da parte aguardare i partigiani sparare. Non avevano una faccia umana. Sembravano senza espressioni. Allora dopo un po’, stanco di guardare, si alzò e si mise di fronte a un albero. Prese la pistola e sparò un colpo. Si fermò ad osservare. Non capiva se aveva preso l’albero o meno. Non c’erano segni. Era profondamente preoccupato. Mise via la pistola con molta fretta, ma era troppo tardi perché uno dei partigiani aveva già visto la scena. Questo iniziò a sorridere, gli si avvicinò, si chiamava Sgancia ed era con Marco da quattro mesi, ma ne aveva già fatti altri quattro come partigiano in un’altra compagnia. Si sedettero.
Sgancia chiese: – Fammi vedere un po’ la tua pistola. Sgancia esaminò la pistola da ogni parte. La fece ballare sul palmo della mano e poi disse: E’ una buona pistola, ma è soltanto italiana – se la poso sulle ginocchia, dicendo – la mia invece è tedesca. Tirò fuori la sua e la mise in mano. Raoul non sapevano che altro dire Sgancia disse finalmente: – Sai che io sono bravo sparare?

Raoul subito s’aspettava una storia di SS, di fascisti ammazzati, uccisi da Sgancia. Invece Sgancia tirò fuori il portafoglio e da questo una serie di foto fatte al Luna Park con una pistola giocattolo. Raoul cambiò subito argomento – Dimmi Sgancia. Che tipo è questo Marco che ci comanda tutti?E’ uno con dei coglioni così – e Sgancia fece con le dita la misura di due bocce – Marco era già ufficiale nell’esercito e da borghese studiava all’Università di Torino per diventare professore di… qualcosa. Ma invece qui in valle avevo per capo un meccanico della Fiat. Aveva fegato, aveva coraggio, ma non aveva istruzione. Non è andato all’università. Ci faceva uccidere per sport.

– Quando mi sono presentato – disse Raoul – c’era una ragazza con Marco…
– Parli di Jole. Abbastanza una bella gnocca… non è una cattiva ragazza.
– Che ci fa qui con noi?
– Dovrebbe fare la staffetta, portare informazioni tra gruppi di partigiani
– Ha del coraggio a stare coi partigiani. Chissà perché è venuta?
Sgancia aggiunse: Io una volta gliel’ho chiesto e sai cosa mi ha risposto lei? Che essere una ragazza è la cosa
più stupita di questo mondo.

Un uomo si mise a urlare da sopra la collina. Sgancia e Raoul, come tutti gli altri, si girarono. Era il contadino di quel terreno e gridava: – Hey! Sparate a quei cosi bianchi laggiù? Lo sapete che noi là dentro ci mettiamo il verderame? Me li bucate e quando ci verserò il verderame si perderà tutto. Smettetela subito o vado a dirlo a Marco.
Un partigiano rispose: – Si ma quei cosi bianchi sono l’unico bersaglio che c’è nella valle. Dobbiamo allenarci a sparare dall’alto in basso, perché di solito noi stiamo in alto e fascisti in basso. Altri partigiani gridavano e applaudivano.
Ma il contadino finì: – Allenatevi in un altro posto. O vado a dirlo a Marco.
Non aggiunse altro, ma restò a guardare se andavano via. E dopo poco i partigiani andarono via. Andarono a tirare in una piccola chiesa. Sparavano alla campanella e ad ogni colpo giusto la campanella faceva den! e loro ridevano come bambini.

A mezzogiorno risalirono la collina e andarono una grossa casa di campagna dove era la mensa per mangiare. C’erano quattro lunghi tavoli con intorno tante panche, un bottiglione di vino per ogni tavolo, un odore di carne arrostita nell’olio di nocciole. C’erano molti altri partigiani che Raoul non aveva ancora visto. Seduti c’erano già Marco e Jole. Jole adesso portava pantaloni da uomo e aveva una mano sulla gamba di Marco.
Non c’è ancora niente di pronto e così partigiani cominciarono a rubarsi l’un l’altro il pane fresco. Poi per fortuna, arrivò il cuoco con le bistecche. Raoul fissò Marco: tagliava la carne con una specie di coltellaccio e sembrava non sentire niente. Allora per non guardarlo, Raoul iniziò a guardare da altre parti. Non voleva guardare i suoi nuovi compagni ed iniziò a guardarsi le mani. Poi rialzò gli occhi. Marco lo fissava e lo studiava.
Tutti finirono la carne, ma Raoul non riusciva a finirla. Non andava giù. Quattro o cinque si addormentarono sulla tavola. Gli altri iniziarono a fumare, tanto. Iniziano a parlare di politica. Il dibattito si faceva sempre più intenso: chi era in favore del re, chi difendeva i comunisti, chi chiedeva l’aiuto degli americani, chi era contro tutti. Raoul era monarchico, ma a modo suo, amava il re come si ama una donna. Stava zitto perché aveva paura. Tutta la gente nello stanzone gli faceva una grande paura. Guardò Marco. Fumava una sigaretta e soffiava il fumo dentro un raggio di sole che entrava dalla finestra. Sembrava concentrato sul fumo. Ma di colpo gettò la sigaretta e uscì. Raoul si guardò intorno e uscì anche lui di fretta dalla stanza all’aperto. Arrivò sulla strada della collina, appena sulla strada, si voltò di scatto perché gli era venuto in mente il pensiero che i partigiani nello stanzone credessero che lui disertasse e lo inseguissero con le armi puntate. Ma nessuno lo inseguiva. Allora attraversò la strada camminando a passi storti sul bordo della strada.

Disse: – Oh, mamma! Mamma!
Si lanciò da una discesa, ma era molto ripida e iniziò a correre. Non poteva fermarsi e cadde in un buco.
Gridò: – A cosa mi serve aver studiato? Qui per resistere bisogna diventare una bestia! Io non me la sento! Io sono buono! Oh, mamma! Mamma!
Ripensò all’alba di quello stesso giorno. Possibile che si trattasse solo di otto ore fa? Sua mamma girava per la cucina in pigiama e aveva la voce rauca, come se una brutta notizia l’avesse svegliata nella notte.
Sergio disse: – E’ una cosa giusta, mamma! La parte buona è quella dove vado io. Anzi io ci vado un po’ tardi. Ci son già andati tanti come me e meglio di me.

– Lo so che vai dalla parte buona e che ce ne sono già tanti – ma lei disse ancora – io dico solo che ci potresti
andare al momento buono.
E Sergio subito: – Ma è sempre il momento buono, lo è stato fin dall’inizio. E poi capisci che, se per andare, tutti aspettano il momento buono, il momento buono non verrà mai.
Sua madre scuoteva la testa: – Non è ancora il momento buono. Guarda che sconfitta i partigiani si sono ancora presi dai fascisti ad Alba. No, non è ancora il momento buono. Sergio si era alzato da tavola ed era andato alla porta a passi indiretti. Mai l’aveva sentita quella voce dura, da uomo. Disse: – Ti piacerebbe che mi chiamassero codardo?
E lei rispose forte: – Nessuno può darti del codardo se tu dici che non hai voluto fare male a tua madre
Uscì nel giardino e sua madre dietro. Si voltò a dirle di rientrare, ma a lei non interessava e gli disse: – Tu non sei buono a fare quel mestiere, non sei buono a fare quel mestiere. Non ne sai niente, non hai mai fatto il soldato.
E lui: – Sono buono. Stai tranquilla! Mi difenderò
Lei si mise a guardare in alto: – C’è un brutto cielo, mi mette dei brutti pensieri. Se devi partire, parti una mattina che il cielo sarà un po’ piú bello. Può già essere domani mattina. Poi come lo vide incamminarsi al cancello, gli domandò con un grido: – Da che parte vai?
E lui: Vado a Castino. Voglio arruolarmi sotto il famoso Marco. Fai conto che sia in vacanza… che sia, come in vacanza dalla nonna.

Se solo fosse stato così inflessibile, così anche con gli altri, come con sua madre…
Rimase in quel buco per qualche ora. Non aveva dormito. Aveva fatto centinaia di pensieri, tutti disperati, nei quali dava la colpa ai partigiani che non erano come lui li aveva immaginati; dava la colpa a sé che aveva sbagliato a immaginarli. Uscì dal buco e guardava verso Castagnole, il suo paese, e mentalmente calcolava che per tornarci c’erano quattro colline da passare e un tratto di piana. Era ancora fermo sulla collina di Castino e già si vedeva aprirsi la porta di casa sua, entrare e sedersi stanchissimo sulla prima seggiola, la prima sedia, della cucina. Si sarebbe tolto il vestito che aveva indossato la mattina per andare in guerra, avrebbe smesso anche tante idee, ma gli sarebbe rimasto il rispetto di sé, perché da solo s’era tirato fuori dall’orribile avventura nella quale s’era cacciato da solo.
Pensando e ripensando alla strada per tornare a casa, sentì il rumore di una moto. Era un rumore intermittente, selvaggio. Raoul aveva paura. I partigiani erano in giro! Ma non i partigiani di Marco. Gli altri, quelli terribili, quelli sconosciuti che non voleva di sicuro incontrare di notte. Proprio in quel momento la chiesa di Castino faceva le sei. Suonava come un saggio consiglio di ritornare e fu così contento di veder illuminata quella finestra della casa dove era la mensa. Così Raoul rimase con partigiani, e a cena nessuno, nemmeno Marco, gli domandò dove era stato l’intero pomeriggio. Dopo cena un altro partigiano, Kin, venne a dirgli che gli toccava fare due ore di guardia. Salì la collina e iniziò a vigilare. L’essere solo armato nella notte fu la prima grande sensazione che provò. L’unica delle tante belle che aveva immaginato doversi provare da partigiano. Stava all’erta. Stava attento, senza paura. Non c’erano insidie nella notte. Si voltò a guardare giù alla cascina e la vide tutta spenta. Non c’era una luce. Kin e Sgancia, Miguel e Delio e tutti gli altri dormivano già. Prima di addormentarsi, dovevano essersi detti che potevano fidarsi di lui potevano fidarsi di Raoul.
Essendo stato attento al campanile, sapeva che il suo turno era già finito, ma non voleva rientrare per dormire perché sentiva che sarebbero ricominciate le sue miserie, le brutte sensazioni. Ma dopo un altro rumore di campana, arrivò Delio. Gli disse di scendere a dormire.

– Delio, dove si dorme?
– Nella stalla, dove dormono gli animali
– Dov’è la stalla?

Ci mise un po’ a trovarla, ma ci arrivò alla fine e, aveva aperto cautamente la porta, si era fermato all’ingresso.
La stalla era oscura e nera e ne veniva un odore osceno. Due grosse cose biancastre oscillarono e si vedevano in quel buio quel nero. Raoul capì che erano due mucche. Si voltavano a vederlo entrare. Ma gli uomini coricati non erano assolutamente visibili. Non capiva dove andare. Provò a destra, ma colpì col piede un corpo. Ma nessuna reazione; come morto. Coi piedi e con le mani aveva tastato se c’era spazio per il suo corpo e si era steso lì. Però, non trovava una posizione buona. Soprattutto, non sapeva dove sistemare la testa e pensava come son ben bravi gli uccelli che possono metterla sotto l’ala. Le mucche facevano rumore con gli zoccoli. Poi il freddo aumentò e allora prese un po’ di paglia. Eppure era stanco. Quella era stata la più lunga giornata della sua vita. Una mucca fece i sui bisogni e Raoul si riparò nella paglia.

Si disse: – Come mi sento male. Non mi abituerò mai
Non si sentiva sicuro. Annusava, sentiva il pericolo. Come facevano gli altri a dormire? Sono sicuri di arrivare a vedere il mattino, il giorno dopo? Dopo un po’, minuto dopo minuto, si addormentò. Iniziò a dormire.

La porta della stalla si aprì all’improvviso con un colpo rimbombante. Entrarono tutti uomini vestiti di nero. Fascisti, pensò Raoul. Puntarono potenti lampade elettriche per tutta la stalla. Era tutto illuminato come di giorno con la luce. Raoul vide le armi dei fascisti verso di loro. Quella luce passava un centimetro sopra la testa e si poteva credere che non lo avessero ancora visto. Poi uno di quegli uomini neri urlò un comando e tutti i partigiani si alzarono dalla paglia, aiutandosi con le mani o la schiena contro il muro. Adesso li facevano uscire come mucche dalla stalla. Raoul si alzò e passò ultimo tra due fila di uomini neri sulla porta. Passando, vide i simboli fascisti. Fuori, davanti alla stalla, c’era anche Delio, a terra. Delio non si muoveva, lo avevano ucciso, ammazzato. Li mandavano in mucchio contro il muro. Erano tutti soldati di Castino. Mancavano solo Marco e la ragazza Jole. Sentì il partigiano Kin dire piano a Miguel: – Marco è a dormire con Jole in un altro posto. Ma spero che poi trovino anche lui, se non è giusto. Solo noi e loro due no.

Raoul voleva urlare, ma non gli riuscì. Poi trovò la voce e cacciò un urlo: – no! – nello stesso istante si allontanava dal corpaccio di Miguel, come fosse una piuma. E correva e gridava: – Non voglio! Non voglio!
Lottò con un soldato che gli aveva subito sbarrato la strada e gli premeva la punta del fucile sullo stomaco, ma lui urlava lo stesso: – No, non è che non voglio morire, ma voglio morire a parte, morire da solo! Mi fa schifo dividere il muro con quelli là! Non li conosco! Non li…
Poi uno scatto. Un colpo…
Raoul sollevò la testa un po’ alla volta, nel buio, faticosamente, come se fosse una palla di piombo. Girando gli occhi, vide per primo Delio. Stava seduto e si grattava la testa e la sua fronte era piena di rughe. Era vivo.
E gli domandò: – Dormito bene per la prima volta questa notte?

Raoul gli disse: – Ho sognato che ti hanno ucciso…
Delio disse: – Mi ucciderei se sognassi delle cose di questo tipo…
Ma rideva. Rise anche Raoul e svegliarono tutti gli altri.


Sources


I ventitré giorni della città di Alba – Beppe Fenoglio


DISCLAIMER

As you noticed, the name of the podcast has been changed, as the target of the project. There are too many “Learn Italian with…” about tiny details about the Italian language. However, they do not speak about Italian culture, the many focus of the new “Italian stories with Davide”